Roberto Torreggiani
Quando Adino Torregiani, nell’estate del ’45, fuggì dalla prigionia in Germania, raggiunse l’Italia assieme a due altri italiani, camminando di notte attraverso l’Europa, orientandosi sulla stella polare per trovare il Sud.
Nel ’46, a Civitanova Marche, nasce, il giorno del solstizio d’estate, il figlio Roberto.
Trascorse l’infanzia nel rione Fontespina, tra il fiume Caronte e il mare Adriatico.
Di quegli anni è ancora vivo in lui il ricordo del viaggio in treno a vapore a Roma con la sorella, quando aveva solo quattro anni, per andare a trovare la madre appena operata: si era lamentata a lungo di forti mal di testa: vedeva doppio, aveva spesso reazioni emotive incontrollate e si parlava addirittura di pazzia.
Nelle vicinanze, in una zona ancora permeata da echi mitologici (non per nulla i monti locali si chiamano Sibillini e si dice che era lì la grotta della Sibilla) un’indovina, Pasqualina, che aveva doti di veggente come la sua celebre antenata, visitò la madre e le ingiunse di recarsi al più presto a Roma dal primario del Policlinico per farsi esaminare la testa. Il padre la accompagnò subito a Roma, il professore diagnosticò un tumore al cervello e la operò immediatamente. La madre perse molto sangue durante l’operazione, dopo una trasfusione diretta fatta dal braccio del padre seduto vicino al tavolo operatorio. E in un clima di compiuto realismo magico, la madre tornò in vita.
L’interesse per la pittura, nel piccolo Roberto, sorse quasi a caso, forse perché in casa c’erano quadri con temi religiosi e lo affascinavano in particolare le innumerevoli rappresentazioni della Madonna con il bambinello che vedeva nelle numerose chiese delle vicinanze. E anche le diverse pietà, il Cristo sofferente con la corona di spine e il sangue che gli colava sul viso. Rimase vivo in lui anche il ricordo delle tele colorate dello studio del maestro Ciarrocchi, allora, nei mesi estivi, vicino di casa. Grande impressione gli fece anche la visione degli affreschi del santuario di Loreto dove la madre lo conduceva tutti gli anni in pellegrinaggio. Un altro ricordo di quegli anni sono le minacce dei vicini, quando faceva qualche monelleria, di “mandarlo in Siberia”, minaccia che in parte si realizzò giacché vive attualmente nel rione Siberia, a Stoccolma.
A scuola era timido, lievemente dislessico, il mondo lo vedeva in immagini e a colori e la sua memoria era prettamente visiva. Si era fortemente identificato con Giotto pastorello, sulla copertina dei famosi pastelli Giotto, occupato a dipingere un agnello su una pietra. Intanto, negli ultimi anni delle elementari, aveva iniziato a praticare il pugilato. A differenza dei suoi coetanei gli piaceva la palestra di boxe che divenne un rifugio, un modo di poter stare da solo in pace. L’ambiente del pugilato poi, fuori dal ring, era molto familiare e amichevole. È uno sport violento ma non crudele, lo sport che fu definito la “noble art”. Piaceva al piccolo Roberto perché aveva letto che attraverso di esso gli schiavi dell’antica Roma potevano conquistarsi la libertà. Inoltre serviva la messa come chierichetto e la madre aveva deciso di mandarlo in seminario a Fermo, per avere un figlio prete. Cambiò idea all’ultimo momento, forse perché, mai del tutto rimessa dall’operazione, aveva bisogno in casa del suo aiuto.
Terminate le scuole elementari, Roberto seguì alcuni corsi a Civitanova all’Istituto Artigianale, Teoria e Disegno professionale, con due orientamenti, corrispondenti all’artigianato locale: scarpe e mobili. Gli piaceva lavorare con il ferro, il legno e anche il restauro. Intanto faceva grandi progressi con il pugilato. Dopo pochi incontri arrivò ad essere campione delle Marche e a vincere una medaglia di bronzo ai Campionati italiani. Questo gli offrì l’occasione di viaggiare all’estero, di guadagnare qualche lira, ma costituì soprattutto una buona scuola di vita.
Le profonde convinzioni religiose della madre, l’impegno politico del padre per la giustizia e per la pace, lo portarono giovanissimo a rifiutare il servizio militare. La sua fiamma religiosa non si è mai spenta anche se smise poco a poco di fare il chierichetto.
Nel ’64 venne chiamato alle armi e, per non fare il servizio militare, decise di trasferirsi con un amico in Germania per poi raggiungere i suoi fratelli in Francia. Viaggiava con un passaporto temporaneo ma al Consolato di Parigi ottenne una dispensa dal servizio militare che riguardava esclusivamente studi all’estero e che si doveva rinnovare anno dopo anno. Fu così che si iscrisse ai corsi dell’Académie des Beaux-Arts, nell’Atelier Libre du Nu, dove non occorrevano tanti titoli formali di studi ma bastava essere accettati dall’insegnante d’arte.
A dipingere lo stimolò anche il suo amico Massimo che insieme facevano quadri che poi vendevano in giro per sbarcare il lunario, perlopiù acquerelli, disegni a carboncino, ritratti.
Visse a Parigi gli eventi del maggio ‘68, ma senza prendervi direttamente parte. Nei mesi di riflusso dopo la tempesta, la polizia aveva ricevuto l’ordine di rinviare a casa gli stranieri. Iniziò allora, per sfuggire alle retate, ad andare a trovare gli amici girovagando per l’Europa, per l’Olanda, la Germania e la Svezia dove, appena arrivato, incontrò tra le fila degli attivisti del FNL la sua futura compagna, Birgitta, che poi diventerà sua moglie.
Nel ’69 Birgitta diede alla luce il figlio Cristoffer e Roberto decide allora di restare in Svezia per formare famiglia con la piccola Veronika che Roberto adottò come sua. Per poter continuare gli studi svolge diversi lavori e guadagna anche qualcosa facendo il pugile.
La famiglia viveva a Västerås dove è radicata un grossa comunità italiana, in maggioranza operai metallurgici arrivati nel primo dopoguerra. Qui fa amicizia con Bosse Andersson e Gregor Wroblesky e con gli insegnanti d’arte Erik Idar, Osmo Isaksson e Tore Hutcrantz. A Västerås, dove rimarrà fino al 1972, studia pittura e scultura alla Scuola d’Arte.
Nell’autunno nasce la figlia Isabella e Torregiani assiste al parto che sarà fonte di future opere. Si trasferisce a Stoccolma, studia Pedagogia, Storia dell’Arte e Storia delle Religioni all’Università di Stoccolma dove, prima che lo raggiungesse la famiglia nella capitale, abitava con Bosse Andersson nel suo atelier a Roslagsgatan, nella rione Siberia. Qui si legò di amicizia con molti artisti che frequentavano la Konstakademi, tra cui il professor Torsten Bergmark, che allora vi insegnava Teoria dell’Arte e che aveva, tra l’altro, una casa a Cupra Marittima, in provincia di Ascoli Piceno. Nel 1973, con una dispensa speciale può tornare in Italia dove l’amico Massimo gli organizza la prima mostra personale a Civitanova. La mostra ebbe grande successo (e anche un piccolo successo di scandalo dopo che tre tele, che rappresentavano figurazioni del parto, furono sequestrate per oltraggio al pudore.) In tal modo entrò in contatto con l’avanguardia locale tra cui il critico d’arte professor Fucchi e il pittore Pietro Capozucca.
Nel 1975 ebbe nella galleria “Nya Paletten” nel quartiere di Söder. la sua prima mostra personale a Stoccolma, intitolata Sensitive Aspects, con tematiche molto simili alla sua precedente personale a Civitanova, che facilitò la sua integrazione nell’ambiente artistico svedese. Sulla sua mostra seguente, Existentia pittorica, alla International Galerie, nel 1978, scrisse il critico Stig Johansson: “Roberto Torregiani elabora forme e colori in modo molto nitido e chiaro usando strati densi di pittura. Composizioni singolari dove forme maschili e femminili appaiono spesso intrecciate e coinvolte in un continuo desiderio di congiunzione amorosa, come spinte da un’attrazione ambigua però, fatta di contrasti e di morbosità.”
Tornato a Parigi, tramite l’amico Gigi Menegali che sarebbe poi diventato un suo sponsor negli anni a venire, entrò in contatto con il maestro Dedalo Montali e la comunità di artisti italiani tra i quali Guido Biasi, Paolo Intini e Gino Silvestri, nell’Atelier Da e Du alla Rue Saint-Paul. Insieme a Paolo Intini venne introdotto al gruppo Art-Synthèse e partecipò a diverse mostre collettive, tra cui le Salon des Indépendants, al Grand-Palais. In questo modo Parigi diventa uno dei luoghi centrali del suo lavoro, insieme a Stoccolma, Londra, Berlino e, in Italia, Roma, Civitanova e Ripe San Ginesio nei periodi estivi. A Londra partecipò ad una grande mostra collettiva alla White Chapel Gallery dove fece amicizia con Davil Miles. Come egli stesso annota in brevi cenni biografici a margine di suoi cataloghi, “sente ormai di voler vivere in Europa”. E in Europa svolge la sua attività negli anni che seguono, principalmente nel triangolo magico Parigi, Civitanova, Stoccolma. Tornato a Stoccolma, nella primavera del 1980, essendo allora direttrice Lucia Pallavicini alla quale lo legò una lunga amicizia, realizzò la sua prima mostra all’Istituto Italiano di Cultura, “Existentia pittorica” su cui scrive: “Tramite l’arte come espressione dell’essere e della natura si manifesta che le opere, oltre ad essere causate come adempimento del vuoto, sono anche generate come ricerca per meglio soddisfare il femmineo bisogno della creazione”. Finalmente libero dal servizio militare, nell’estate del 1981 espone questa mostra all’Angolo dell’Arte, la galleria comunale di Civitanova e qui si legò di amicizia con Franco Forani e il gioielliere Enrico Monti, che crederanno sempre in lui sostenendo il suo lavoro. Nell’estate dello stesso anno, negli incontri estivi a Ripe S. Genesio dove risiedeva d’estate e dove gli amici venivano a trovarlo, tra gli altri Hultkrantz, Bosse Andersson, Gregor Wroblesky e l’artista inglese David Miles, nacque l’idea di organizzarvi, insieme a Silvio Craia ed altri artisti locali, una serie di mostre, chiamata Ripe Arte.
Ritornato a Parigi nella primavera dell’82, espone con grande successo “Existentia pittorica” al Centre Culturel La Tanière. Di grande aiuto fu l’amico e compaesano Enrico Monti, fondatore, insieme a Franco Forani, dell’Associazione Culturale LiberArt, che lo aiutò anche a trovare uno studio al 26 Rue Tholozé, nel cuore di Montmartre. Fu in questa occasione che nacque l’idea di presentare domanda per fare una mostra alla Maison de l’Unesco, a Parigi, come di fatto avvenne nel 1993.
Nel 1985, tornato a Stoccolma dopo alcuni anni a Parigi, fonda insieme all’artista Kjartan Slettemark ed altri artisti del gruppo Sankt Eriks Kollektiv, il “Konstreservatet”, la “riserva” degli artisti, un collettivo di atelier nei locali del vecchio ospedale Sankt Erik, e insieme fanno una mostra, Gränslös (senza confini) organnizzata dall’allora operatore culturale Urban Sandström marito della figlia Veronica. Negli stessi anni insegna alla Konstskola Pittura e Storia dell’Arte e partecipa nel 1985 con l’artista giapponese Reygj Jamakita, che aveva conosciuto a Parigi, ad una serie di mostre gestita dalla Ghinza Gallery nelle città di Osaka, Kyoto e Sogo. Nel 1987 fece una mostra alla Pinacoteca d’Arte del Comune di Macerata, su invito dell’allora direttore Silvio Craia, “Cromatismo luminoso”, nel cui catalogo Enrico Crispolti vede, nella vivezza dei colori e nei particolari effetti luministici delle opere in mostra, quasi un intento testimoniale “di un marchigiano-svedese impegnato in un’avventura di solaritá mediterranea in una sorta di confronto con orizzonti nordici più profondi”.
Nella primavera dell’88, su iniziativa dell’Istituto Italiano di Cultura “C.M. Lerici” di Stoccolma, di cui era consulente artistico, invitò Enrico Crispolti ad organizzare una mostra “5 artisti dell’Italia centrale”, dove espongono, insieme a Roberto Torregiani, anche Pietro Capozucca, Silvio Craia, Umberto Peschi e Wladimiro Tulli.
Nel 1988 fece una grande mostra personale, patrocinata dalla pinacoteca d’ Arte Moderna Moretti, su invito del Comune di Civitanova, “Verifica per un decennio”, dove presenta una sorta di panorama del suo lavoro negli ultimi dieci anni. La mostra venne esposta nei locali dell’Ente Fiera su espresso desiderio dell’artista. Il catalogo fu curato da Lucio del Gobbo che scrive: “Mi incuriosiva il fatto che stesse lavorando contemporaneamente non a una o due, ma a dieci tele e anche più. Egli mi spiegò che era il suo modo di dipingere. Perché aveva bisogno di “convivere” con il quadro, di giudicarlo, di aggiornarlo infinite volte prima di staccarsene definitivamente. Il colore gli suggeriva le forme, e le forme dovevano essere consone alle sensazioni di un momento.” Nell’89 fa una mostra personale alla Galleri Jan Wallmark, “Essenza del colore”, che sarà seguita periodicamente da altre mostre nella stessa galleria, la prossima il 7 novembre del 2013.
La scrittrice Ingamaj Beck cosí commenta la sua mostra alla Mälargalleri, nel 1992: “C’è qualcosa che si potrebbe chiamare una nervosità europea, come uno stato di inquietudine/…/. Roberto Torregiani è questo personaggio tipicamente europeo, costantemente in viaggio di esplorazione, che facilmente si sposta da una prospettiva all’altra, sperando con impazienza l’incontro con l’ignoto.”
L’anno seguente infine, il 1993, è quello della sua mostra alla Maison dell’Unesco, a Parigi, dal titolo “Le miracle de la vie”. Nel catalogo Enrico Crispolti scrive: “La sua pittura è davvero un mezzo di comunicazione, ma è qualcosa di evidentemente essenziale per lui, non solo nel progetto di fare dell’arte, ma in una necessità, un’urgenza di esistere. “E il critico d’arte Stephane Doré, in un saggio scritto nella medesima circostanza, annota: “La vita, per Roberto Torregiani, è un miracolo, che sia difficile, dolorosa o no, essa c’è data ed è primordiale. Il suo è un mistero che interroga, che situa sia al centro del quadro in un incavo di abbagliante chiarezza, alla maniera dei dipinti religiosi”.
Nello stesso anno è invitato al VII Salon International de l’Affiche et des Art de la Rue, in una mostra intitolata “Les Arts de la Rue”, tenutasi al Gran Palais di Parigi dal 9 a 28 giugno. In tale Torregiani espone tre “obelischi”, pitture su tela assemblate in strutture tridimensionali, già proposti alla Maison dell’Unesco e richiesti dal curatore critico d’arte Andrè Parinaud.
Negli anni tra il ’94 e il ’98, dopo aver dedicato per diversi anni tutta la sua energia alla mostra dell’Unesco, Torregiani si sentiva spiritualmente e fisicamente svuotato, come dopo aver dato alla luce un bambino. Per riprendere forze ed ispirazione trascorse diversi periodi di meditazione in un convento di rito cattolico bizantino sperduto nei boschi svedesi, dove, tra preghiere e digiuni, seguì un corso sulla teologia dell’icona, tenuto da un anacoreta ad esso appositamente abilitato che gli consentí poi anche di esporre icone nelle chiese.
Da vero cittadino del mondo Roberto Torregiani non si muove solo in superficie nel suo triangolo magico da capitale a capitale ma anche in profondità, immergendosi nel territorio. Gran parte della mostra infatti viene esposta nell’estate del ’93 a Civitanova per raggiungere in seguito, nel ’94, il Nordbottens Museum di Luleå, all’estremo nord della Svezia. La mostra, con l’aggiunta di nuove opere, fu poi riproposta nel ‘98, con il titolo The Soul of Color, alla Gallery 49 di New-York, di fronte al Rockfeller Center, su invito della curatrice, Anna Klein, che gli era stata presentata dall’Istituto Italiano di Cultura di New York. Dello stesso anno è il suo “Omaggio a Maria”, nel quadro del progetto “Stoccolma capitale europea”, un’istallazione nella chiesa cattolica di Santa Eugenia che viene ora riproposta ogni anno a Civitanova sotto le feste natalizie.
Ritorna a Civitanova nel 1999, come ogni anno, invitato dagli amici artisti, per una mostra collettiva a Palazzo Sforza. In tale occasione lo storico dell’arte prof. Stefano Papetti osserva: “Roberto Torregiani affonda le proprie radici culturali nell’arte europea del Novecento/…/ Questo suggestivo gioco si propaga oltre la tela grazie all’intersezione di piani geometrici che penetrano all’interno dello spazio dilatandolo oltre il limite della realtà percettibile”.
Inizia cosí il nuovo millennio a Parigi nel 2000 con una mostra personale alla galleria Marie Guillen che costituì un importante stimolo per mantenere i contatti, che perdurano fino ad oggi, con la vita culturale ed artistica parigina.
Nel 2003 fece una mostra alla Sala Foresi, a Civitanova, “Cromorazioni” – dove presentò una serie di “preghiere di colore” che avrebbero dovuto essere esposte alla Noho Galleri di Manhattan il 23 settembre del 2001, esposizione questa che per ovvie ragioni non ebbe luogo. A New York però, l’anno seguente, in una mostra collettiva alla Pearl Gallery, in quell’occasione la casa editrice Ally and Bacon pubblicò un grosso volume di saggi sulla famiglia, “The Family”, a cura di J. Ross Eshleman, con in copertina una pittura di Torregiani dallo stesso titolo. Nel 2005 fu invitato dall’Istituto Italiano di Cultura e alla Galleria Jan Wallmark per una mostra Esilio Europeo coinvolgendo i critici Enrico Crispolti e Olle Granath.
Nell’estate del 2006 Torregiani espone a Ripearte un ciclo di opere sul tema della “sacralizzazione dell’arte”. Lucio Del Gobbo scrive sul catalogo: “(…) Dall’osservazione del sociale Torregiani è passato ad una riflessione più esistenziale ed intimistica. Il colore e il gesto divengono stati conciliatori di un pensiero e di una percezione che si configura in emozione, senza completamente rilevarsi e risolversi, senza cioè il venir meno di quel mistero che fatalmente divise l’uomo e l’artista dalla verità conclusa… Una tematica su cui l’artista torna insistentemente è il sacro. Ciò che egli chiama “sacralizzazione dell’arte”.
Nel maggio del 2008 Torregiani viene invitato come ospite d’onore dagli amici della Association Artistique du Nogentais ad esporre presso L’Espace Culturel, Salon de Romilly.
Sul quotidiano L’Est Eclair viene cosí descritta la pittura di Torregiani: “Una pittura che interpella e sorprende. Per un osservatore poco attento può sembrare semplice. Non vi si troverà nessuna seduzione ostentata, né una costruzione artificiosa né un colore troppo vivo e accattante. Il pittore preferisce giocare sul rapporto concettuale tra colore e forme geometriche. Torregiani è un personaggio tipicamente europeo, costantemente in viaggio di esplorazione.”
Nell’autunno del 2008 l’Istituto Italiano di Cultura organizza una sua grande mostra retrospettiva, curata dal porofessor Armando Ginesi, “Colore, forma e sacralità”, che presenta 40 anni di lavoro,
dal ’68 al 2008. La mostra andrà poi a Civitanova Marche nella chiesa di S. Agostino e la primavera seguente al Centre Culturel Christiane Peugeot, a Parigi.
Armando Ginesi scrive: “Il sentimento del sacro è un atteggiamento rilevante del pensiero e nel linguaggio artistico di Torregiani. Esso rappresenta la tensione verso l’eterno, mentre l’arte è il visibile che mira a svelarlo (…) L’arte possiede, per sua natura, una dimensione sacra, diventa essa stessa il sacro che s’inventa nel bello. Per Torregiani questo processo è possibile realizzarlo mediante il possesso di quel sentimento del colore.”
Nel 2010 viene invitato dall’amico pittore Daniele Cristallini a fare una mostra nel suo castello, Il Maniero, a Loro Piceno, “Mater luminosa”, che ripropone poi nell’autunno a Stoccolma, alla Galleria Jan Wallmark, riportando un grande successo di pubblico e di critica.
Nell’autunno del 2012, organizza a Stoccolma con Mauro Brattini “Missione di pace”, una mostra proposta dall’artista Alessandro – F. Marcucci Pinoli di Valfesina e patrocinata dalla Regione Marche, dal Comune di Civitanova e dall’Istituto Italiano di Cultura.
La mostra ha riscosso molto interesse fra artisti dell’avanguardia svedese e verrà riproposta con loro a Stoccolma, nel 2014, proclamato, “Anno della Pace” per celebrare 200 anni consecutivi di pace in Svezia. E così Roberto Torregiani vede allontanarsi la speranza di un anno sabbatico che pensava prendersi dopo la mostra ad Ascoli Piceno, intrappolato nuovamente, come in gioventù, dal suo impegno per la pace.
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